Cento anni di slavistica a Padova
Edited by: Benacchio, Rosanna
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Cento anni di slavistica a Padova

01/12/2024

Questo volume raccoglie i saggi presentati in apertura del VII Convegno nazionale dell’Associazione Italiana degli Slavisti (Padova, 6-9 giugno 2022), nella sezione dedicata alla celebrazione del centenario degli studi slavistici universitari in Italia che hanno visto la luce presso l’Ateneo patavino con l’istituzione del primo insegnamento di Filologia slava. Questa celebrazione è coincisa con quella dell’ottavo centenario dell’Università di Padova ed è entrata nel palinsesto scientifico delle celebrazioni previste per quell’evento. I saggi sono articolati in modo da ricostruire i momenti salienti della storia degli studi slavistici patavini, a partire da Giovanni Maver, che per primo ricoprì la cattedra di Filologia slava, per proseguire con coloro che in quella cattedra gli sono succeduti: Ettore Lo Gatto, Arturo Cronia, Evel Gasparini, e infine Natalino Radovich. Nei saggi si mettono in luce i meriti scientifici, ma anche quelli organizzativi e didattici, di queste figure e si contestualizza storicamente il loro operato. Il volume si apre con una densa introduzione di Giovanna Brogi dal titolo “Considerazioni introduttive sulla storia della slavistica in Italia” che traccia nei suoi tratti generali le vicende storico-ideologiche e culturali cha hanno fatto da sfondo alle ricerche slavistiche svolte sia all’estero che nel nostro paese in questi cento anni. Nel primo articolo, dal titolo “La fondazione della cattedra di filologia slava a Padova: Giovanni Maver”, Cecilia Ghetti illumina egregiamente le condizioni storiche e sociopolitiche cha hanno portato alla nascita della prima cattedra di slavistica a Padova, mettendo poi in luce non solo l’attività scientifica, ma anche quella didattica e organizzativa (tra cui la fondazione della biblioteca) svolta da Maver a Padova prima di trasferirsi, nel 1929, a Roma, dove rimarrà fino alla fine dei suoi anni, ricoprendo la neonata cattedra di Lingua e letteratura polacca presso quella Università. Al successore di Giovanni Maver è dedicato il lavoro che segue, “Ettore Lo Gatto a Padova”, di Gabriele Mazzitelli. Noto studioso di Lo Gatto e, in generale, profondo conoscitore della storia della slavistica italiana, Mazzitelli delinea un approfondito profilo sia dello studioso, sia dell’uomo, dando ampio spazio alla descrizione del rapporto tra Lo Gatto e il regime. Si mette in luce non solo l’attività di Lo Gatto a Padova, ma anche quella svolta a Praga nei sei lunghi anni trascorsi ‘in missione’ in quella città (l’insegnamento di Filologia Slava veniva, in quegli anni, coperto per supplenza da Arturo Cronia), dove ricoprì, tra l’altro, le funzioni di direttore dell’Istituto di cultura italiano. Ad Arturo Cronia è dedicato il saggio di Rosanna Morabito “Ancora su Arturo Cronia: la letteratura serba”. Esso non mira a un profilo ‘a tutto tondo’ dello studioso, per il quale l’Autrice rimanda al volume recentemente pubblicato a Padova (Benacchio, Fin 2019) dedicato agli Atti di un convegno tenutosi in occasione dei cinquant’anni dalla morte dello studioso zaratino. L’autrice si focalizza qui su un aspetto che in quell’occasione era stato trascurato, ossia sugli studi di Cronia (senz’altro minoritari ma non per questo meno significativi) sulla letteratura serba e sulla loro ricezione in Serbia. Segue “La prospettiva comparatistica degli studi slavi a Padova” di Guido Baldassarri, che mette molto bene in luce l’interesse per una visione comparatistica degli studi filologico-letterari coltivato dai primi tre studiosi che hanno coperto la cattedra di Filologia slava a Padova: Maver e Cronia soprattutto ma anche, pur in minor misura, Lo Gatto. Si arriva a tempi più recenti, successivi all’‘era croniana’, con “Evel Gasparini: per un profilo dell’uomo e dello studioso” di Donatella Possamai, che getta una luce inedita sulla figura dello studioso, focalizzandosi soprattutto su particolari finora sconosciuti della sua biografia (mi riferisco anche qui, come per Lo Gatto, alla messa in luce del rapporto tra Gasparini e il regime). Completano questo articolo delle “Considerazioni a margine” di Remo Faccani, profondo conoscitore e amico di Evel Gasparini, autore, tra l’altro, di un pregevole saggio introduttivo apparso come Prefazione alla recente riedizione dell’opus magnum di Evel Gasparini, Il matriarcato slavo. L’ultimo saggio, “La filologia di Natalino Radovich” di Rosanna Benacchio, è pure volto a gettare una luce inedita sulla figura dello studioso, andando ad integrare il Profilo bio-bibliografico composto dalla stessa autrice in occasione del pensionamento dello studioso (Benacchio 1996). Il saggio si focalizza soprattutto sull’originalità della posizione di Radovich all’interno della slavistica italiana, sul suo ruolo di ‘precursore’ di nuovi approcci teorici e nuovi metodi di ricerca. Un atto dovuto e quanto mai utile, soprattutto considerato il carattere schivo dello studioso triestino, che l’ha portato ad un progressivo isolamento dal mondo accademico, in Italia e non solo. Completa il volume un’Appendice iconografica dedicata alla mostra di materiale bibliografico e documentario allestita, in occasione del Convegno, con la collaborazione della Biblioteca del Polo Umanistico di Via Beato Pellegrino ed esposta nei locali del Dipartimento di Studi linguistici e letterari in concomitanza con l’evento celebrativo. La mostra (dal titolo Per i cento anni della slavistica a Padova) abbracciava un periodo più lungo di quello coperto dagli articoli qui pubblicati ed esponeva, in una decina di bacheche, le principali pubblicazioni (per lo più opere prime monografiche ma anche opere collettanee e, eccezionalmente, articoli di particolare rilievo scientifico o ‘storico’), scritte o curate dai docenti di slavistica dell’Ateneo patavino a partire dagli anni Venti del Novecento fino ad oggi. Più precisamente, erano stati scelti gli scritti le cui date di pubblicazione riguardavano gli anni precedenti l’inizio dell’insegnamento dei suddetti slavisti a Padova (in quanto in qualche modo ‘preparatori’ di una una formazione poi ‘spesa’ a Padova) e gli anni durante i quali gli stessi hanno insegnato a Padova (o gli anni immediatamente successivi, calcolando i tempi editoriali).