Giustizia sostenibile

26/03/2024

Non sono uno studioso di processo, né di organizzazione giudiziaria1; a che titolo, dunque, mi accingo a consegnare queste brevi note di apertura del volume? La ragione principale non è legata ai miei studi, perlomeno all’inizio non lo è stata; il motivo, in verità, è del tutto occasionale. Mi son trovato, infatti, a dirigere il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Firenze nel momento in cui in Italia si è avviata una grande e complessa opera riformatrice, oggi nota come riforma Cartabia dal nome della collega costituzionalista che ricopriva il ruolo di Ministro di Giustizia, riforma che prevedeva – unicum nel suo genere – un coinvolgimento attivo dell’università nella sua fase di attuazione. Questo volume raccoglie studi, analisi e proposte nate proprio da quella esperienza di collaborazione nel dar vita alla riforma organizzativa della giustizia; in particolare, l’obiettivo era il potenziamento di quella struttura che chiamiamo ‘ufficio per il processo’ ma, come ben si comprende leggendo il volume, la portata del cambiamento auspicato eccedeva i limiti di un ‘nuovo’ ufficio. Orbene, su questa circostanza vorrei proporre qualche riflessione. Ci troviamo, infatti, dinanzi ad una innovazione, quantomeno metodologica, che come spesso accade, mi pare sia avvenuta in un clima di generale sottovalutazione e che invece ritengo meriti una adeguata considerazione. Gli obiettivi della riforma, come dicevo, sono senza dubbio ambiziosi. Il ‘mezzo’ è il potenziamento di un ufficio – quello per il processo – introdotto nel 2014 e fino al 2021 sostanzialmente oggetto solo di qualche sporadica sperimentazione. 

Il ‘fine’, però, è ben altro: avviare una riforma organizzativa più ampia delle attività svolte all’interno dei tribunali, provando ad incidere su alcune delle criticità ormai croniche del sistema giudiziario. Come affermano le relazioni alle leggi delega nn. 134 e 206 del 2021, attraverso questa struttura si intende realizzare un triplice ambiziosissimo obiettivo: la semplificazione, la speditezza e la razionalizzazione dei processi. È per realizzare questi obiettivi che si ridisegna una struttura organizzativa, già introdotta anni prima, ma che viene significativamente potenziata per svolgere un’azione di piena ed effettiva assistenza all’attività giurisdizionale, favorendo l’introduzione effettiva delle nuove tecnologie nel lavoro giudiziario, coordinando e ottimizzando le attività di ricerca dottrinale e giurisprudenziale e l’organizzazione del carico di lavoro dei processi in corso, nonché l’alimentazione degli archivi automatizzati. Come dicevo, nella fase attuativa della riforma accade un fatto inedito. L’amministrazione della Giustizia, guidata al tempo dalla Ministra Cartabia, infatti, chiede al sistema universitario di affiancarsi nell’impresa. Orbene, il coinvolgimento dell’università nelle fasi di scrittura delle leggi o dei decreti legislativi non rappresenta certamente una novità; molte volte – ed è accaduto anche nel caso della riforma Cartabia – professori universitari vengono coinvolti in qualità di esperti nei comitati di redazione dei progetti normativi di delega o dei decreti legislativi. Per quanto ricordi, invece, è la prima volta che il potere legislativo – il Parlamento – ed il potere esecutivo – il Governo – riconoscono esplicitamente di aver bisogno di un altro potere, quello ‘conoscitivo’, nella concreta attuazione di quanto è stato scritto nelle regole. L’idea retrostante, semplice ma rivoluzionaria, è che per ‘mettere a terra’ effettivamente ed efficacemente una riforma, non basta scrivere nuove regole, progettare nuovi uffici e nuove funzioni, ma occorre capire, caso per caso, ufficio giudiziario per ufficio giudiziario, quali cambiamenti concreti comporterà l’attivazione di quelle novità e porre in essere azioni in grado di preparare o accompagnare tali innovazioni. Occorrerà avere, ad esempio, il quadro realistico dello stato di fatto esistente dell’organizzazione, dei suoi carichi di lavoro, delle performance realizzate, prima della riforma, sia per valutarne l’impatto che per misurare i miglioramenti sperati.

Andrea Simoncini, professore di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Firenze.