04/06/2025
In un eccentrico saggio sulla storia e sulla critica dell’autobiografia, il comparatista Bartolo Anglani paragonava argutamente lo sforzo di molti teorici nel
‘misurarla’ e accomodarla secondo i propri criteri alle pratiche di Procuste1
. Il
leggendario brigante dell’Attica, com’è noto, catturava i viandanti e li obbligava
a stendersi sul proprio letto: se erano troppo bassi, li allungava sottoponendoli a
una vigorosa trazione, se troppo alti tagliava loro le parti sporgenti. Seguendo la
raccomandazione implicita nel paragone mitologico, questo volume non si propone di elaborare ulteriori definizioni del concetto di autobiografia, aggiungendo
o eliminando quello che di volta in volta pare più opportuno rispetto al semplice
assunto per cui l’autobiografia è un racconto in prima persona della propria vita.
L’intento è, piuttosto, quello di tentare di costruire un quadro di riferimento il
più possibile organico per la linea autobiografica tardolatina, facendo luce sia
sulle ragioni profonde del suo sviluppo in questo complesso periodo storico, sia
sulle diverse modalità con cui vari testi in versi e in prosa, pur non presentandosi
tutti come opere autobiografiche in senso stretto, ma piuttosto come esempi di
autobiografismo diffuso2
, abbiano contribuito a preparare il terreno per il pieno sviluppo successivo dell’autobiografia come forma letteraria vera e propria.
In assenza di una consapevolezza, da parte degli scrittori tardoantichi, di praticare o addirittura di fondare un genere letterario nuovo e autonomo – è possibile infatti parlare di «autobiografia» come una forma codificata di scrittura
solo a partire dal XVIII secolo e dalle Confessions di Jean-Jacques Rousseau –, il
termine è qui utilizzato nella sua più larga accezione, per abbracciare le personali narrazioni di avventure umane, e le descrizioni ed effusioni in versi e in prosa che vi si correlano. Si tratta di un corpus ristretto di opere latine, la cui omogeneità consiste nel fatto di essere state originate dalla stessa humus storica e culturale, segnata in particolare dalla profonda rivoluzione del cristianesimo. La
valorizzazione di questo preciso contesto è fondamentale per scongiurare che
l’inevitabilmente anacronistica applicazione all’indietro di una categoria letteraria moderna possa sembrare un errore retrospettivo.
I tredici capitoli che seguono analizzano altrettanti case studies presentati da
vari esperti del tardoantico in occasione dell’International Workshop intitolato,
mutuando una frase da Agostino (conf. 10, 8, 14), In aula ingenti memoriae meae.
Forme di autobiografia nella letteratura tardolatina, che si è tenuto a Siena il 13 e
14 giugno 2024. Si è trattato del primo passo verso la costituzione di un international network, LALAB (Late Antique Latin AutoBiographies), finalizzato a una
costante e durevole indagine sulle tendenze generali dell’autobiografia latina fra
il IV e il VI sec. d.C., con eventuali incursioni nei secoli precedenti e successivi3
.
Le varie sezioni in cui sono organizzati questi Atti riproducono l’ordine in
cui i contributi erano stati presentati nel workshop: a partire dal keynote speech
di Roy Gibson, di taglio trasversale, sul potenziale interesse in direzione autobiografica rivestito dalle editiones principes di alcuni epistolari tardoantichi, fino
alla tavola rotonda conclusiva, che ha visto Elena Castelnuovo e Noelia Bernabeu Torreblanca discutere delle due opere in cui rispettivamente Paolino di Pella e Patrizio, il cosiddetto apostolo dell’Irlanda, gettano uno sguardo sulla loro
travagliata vita passata, riconoscendovi un provvidenziale disegno divino. Le
sessioni centrali del workshop erano state dedicate alle ‘tre corone’ della patristica latina e ad alcune delle principali testimonianze autobiografiche in versi,
fra paganesimo e cristianesimo. Le relazioni di Daniele Di Rienzo, Leopoldo
Gamberale e Fabio Gasti hanno indagato fra le pieghe di alcune pagine autobiografiche dal De excessu fratris di Ambrogio, dalle epistole, talvolta anche meno
celebri, di Gerolamo, e dalle Retractationes di Agostino. Si deve poi ad Angelo
Luceri il merito di aver richiamato l’attenzione sulla singolare mistura di una
dimensione professionale e personale nei carmina minora di Claudiano (con
qualche cenno ai suoi carmi d’occasione). A loro volta Silvia Mattiacci, Stefania
Santelia e Antonella Bruzzone hanno esplorato la complessa ricchezza di sfumature classicheggianti che, perfino nei momenti di più intensa introspezione,
accomuna opere quali l’Ephemeris di Ausonio, le nugae di Sidonio e i componimenti profani e cristiani di Draconzio. Profondamente cristiana è invece l’ispirazione autobiografica che domina i Natalicia di Paolino di Nola e i carmina di
Venanzio Fortunato, ispirazione finemente ricostruita da Francesco Lubian e Silvia Condorelli. A trasportarci nel vivo della devozione dell’epoca è stato infine il prezioso contributo di Rocco Schembra, che ha colto i riflessi autobiografici contenuti nel diario della pellegrina Egeria.