Libertas e libertates nel tardo medioevo. Realtà italiane nel contesto europeo

01/10/2024

In una conferenza tenuta all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole nel 1986 Norberto Bobbio, tracciando l’evoluzione della Grandezza e decadenza dell’ideologia europea, osservò come da Erodoto di Alicarnasso fino a Georg Wilhelm Friedrich Hegel e a Benedetto Croce la storia d’Europa fosse stata attraversata da una specifica ideologia secondo la quale quella storia era storia della libertà, frutto delle lotte di uomini fondamentalmente liberi. Sempre a Fiesole una decina di anni fa maturò l’opera collettiva, guidata da Quentin Skinner e Martin van Gelderen, pubblicata sotto il titolo Freedom and the Construction of Europe, con l’obiettivo di evidenziare la ricchezza, la varietà e la complessità del pensiero sulla libertà posto a fondamento della costruzione dell’Europa moderna. In un clima storico profondamente diverso da quello attuale, Bobbio esprimeva la consapevolezza di come le guerre mondiali, il nazismo e la decolonizzazione avessero corroso profondamente quell’“ideologia europea” che si era contrapposta alla storia dell’Oriente, intesa come storia del dominio del dispotismo e dell’asservimento delle masse, secondo uno schema bipolare – da una parte l’Europa, la libertà e il progresso, dall’altra l’Oriente, il dispotismo e l’arretramento – che nei decenni centrali del Novecento era servito a spiegare lo stalinismo e il predominio della burocrazia nel socialismo reale, spingendosi a interpretare l’Unione Sovietica nei termini di un nuovo principato di Moscovia. L’opera coordinata da Skinner e da van Gelderen si collocava invece nella cornice dell’esperienza fondatrice dell’Unione Europea, in un clima valoriale positivamente teso a riconoscere nella nuova costruzione politica continentale l’erede di una plurisecolare tradizione di libertà religiose e costituzionali e di libertà degli individui e degli stati. Un’eredità maturata nella contestazione dei significati premoderni del concetto di libertà, contrapposti a quelli di servitù, di tirannide e di supremazia, e nella definizione dei nuovi concetti di libertà come assenza di dipendenza e/o di un regime politico arbitrario. La crisi delle democrazie europee e occidentali negli ultimi decenni, per effetto della globalizzazione, della recessione economica e della riproposizione di movimenti come il sovranismo e il populismo, conferma la drammatica attualità del tema della libertà. E la necessità di indagarlo storicamente. Da qui la proposta di un convegno come quello organizzato dal Centro studi sulla Civiltà del tardo medio evo che ha visto riuniti alcuni dei maggiori storici del tardo medioevo e della prima età moderna per analizzare la varietà di declinazioni assunte dalle libertates nelle realtà sociali e politiche italiane di quel periodo in un contesto europeo. Il presente volume ne raccoglie gli atti.

La storia delle libertà politiche in Europa è stata a lungo declinata entro uno schema genealogico che interpreta la natura della libertà contemporanea a partire dalle sue origini remote. Ciò spiega l’adozione di un approccio teleologico che spesso ha segnato le ricerche: dalla libertà degli “antichi” a quella dei “moderni”; dalla libertà “positiva”, fondata sulla partecipazione collettiva alla decisione, a quella “negativa” fondata sulla non costrizione degli individui; dalla libertas ecclesiae alla tolleranza religiosa, etc. La consapevolezza della crisi del grande racconto della libertà – incrinato dalle tragedie del Novecento e dalle attuali reazioni identitarie ai fenomeni originati dalla globalizzazione – invita ad allargare il campo d’analisi, rifiutando una storia lineare della nozione e delle sue espressioni, che si sta rivelando sempre meno capace di dare conto delle discontinuità e delle tensioni tra significati e modelli diversi. La proposta del nostro convegno è stata quella di reintegrare il tema della libertà nel quadro delle pratiche degli attori politici, prendendo in considerazione la pluralità di elaborazioni che ebbero per oggetto la libertà nel tardo medioevo. Sul piano storiografico ciò significa incrociare alcuni dei campi di ricerca attualmente più dinamici nell’ambito della storiografia medievistica e modernistica, in primo luogo le prospettive che hanno mutato il panorama delle conoscenze sui processi politici e sui meccanismi della legittimità nell’Europa di antico regime, come quelle emerse nei progetti su La Genèse de l’Etat moderne e su Le pouvoir symbolique en Occident (1300-1640) diretti da Jean-Philippe Genet, o – per limitarsi all’Italia – negli studi raccolti nel volume The Italian Renaissance State. Peraltro, la revisione delle coordinate ordinarie della storia politica dell’Europa di antico regime è in pieno svolgimento ed è alimentata dall’irruzione della storia globale, dal declino dei sistemi di senso eurocentrici, dalla crisi dell’egemonia “occidentale” sul mondo. Rammento alcuni degli assi fondamentali di tale revisione. La sensibilità, maturata ormai da quasi mezzo secolo, nei confronti della dimensione linguistica dell’agire politico si è tradotta – come è noto – in un ripensamento profondo della tradizionale storia delle ideologie e delle forme stesse della politica. La messa in discussione della centralità della nozione di stato moderno e di sovranità ha proposto una nuova genealogia del repubblicanesimo e della libertà politica come modelli almeno in parte alternativi; essa abbraccerebbe, dopo una fondamentale genesi nel mondo greco-romano, un lungo arco di secoli che va dal basso medioevo (soprattutto italiano) alla piena modernità rivoluzionaria. I risultati più autorevoli di questo orientamento interpretativo – di cui sono esponenti autori come John Pocock e Quentin Skinner – hanno mantenuto tuttavia un profilo molto pronunciato di storia delle idee, finendo col ricostruire, sulla base di un’approfondita ricognizione dei testi, tradizioni intellettuali coerenti e immuni dalla “confusione” dei discorsi elaborati nelle azioni e nelle pratiche, e dalla complessità (non solo linguistica) delle congiunture politiche.