La Flagellazione di Piero della Francesca

Sulla Flagellazione di Piero della Francesca, oggi presso la Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, da un secolo si concentrano gli sforzi interpretativi degli studiosi impegnati a svelare il mistero relativo alla sua inconsueta composizione che vede l’episodio evangelico relegato sullo sfondo e la presenza preminente di tre personaggi in primo piano che stanno parlando fra loro voltando le spalle al Cristo alla colonna. Si è cercato di identificare un ‘reale’ soggetto iconografico, sotteso a quello religioso, allo scopo di rintracciare committenza, occasione, funzione e provenienza del dipinto e così, nella maggior parte delle ipotesi ermeneutiche, la flagellazione diventa l’oggetto metaforico su cui verte la conversazione dei tre uomini in primo piano. La vicenda critica inizia il secolo scorso e vede, attraverso la produzione di una copiosa messe di saggi e di corposi tomi monografici, susseguirsi i tentativi di identificare i tre personaggi in primo piano per poter interpretare quello che sta ‘realmente’ accadendo nel dipinto. Anticipo che, a mio parere, l’unico tema rappresentato nella tavola è la Flagellazione declinata secondo la misurata impostazione prospettica costruita da Piero il quale tuttavia al contempo utilizza schemi compositivi che gli derivano dalla secolare tradizione iconografica delle scene facenti parte del ciclo della Passione.

Questa constatazione non condurrà a nuovi elementi utili a svelare la committenza e la provenienza del dipinto, ma almeno ne svincolerà la realizzazione da proposte di datazione derivate dalle diverse interpretazioni del soggetto iconografico. Sgombrato il campo dalle numerosissime ipotesi ermeneutiche, spesso astruse e forzate, semplificando la decifrazione dell’unico soggetto presente nella tavola, che è la Flagellazione, è possibile tornare ad apprezzare la pura qualità artistica del dipinto, la sua composizione, la geniale messa in scena del dramma attraverso la sapiente distribuzione di volumi e di colore, di luci e di ombre, in sostanza il personalissimo linguaggio formale di Piero finalizzato alla nitida rappresentazione di quell’episodio della Passione. Per le dimensioni relativamente piccole del quadro si può escludere che esso provenga da un luogo di culto pubblico e anche che abbia fatto parte della predella di un complesso più grande, a causa innanzitutto della presenza della firma del pittore. Si può ricondurre la sua funzione a quella devozionale per un ad oggi ignoto committente privato e databile, per via meramente stilistica, ai primi anni Cinquanta, nel periodo che precede l’inizio dell’impresa del ciclo aretino, come concordemente proposto dalla critica.

Prima di confutarli occorre tuttavia analizzare i diversi filoni interpretativi che sono, per la maggior parte, basati su riferimenti a fatti storici contemporanei all’epoca dell’esecuzione del dipinto. Le principali linee ermeneutiche, che spesso si contaminano producendo infinite altre ipotesi interpretative, sono sostanzialmente tre: la prima legge nell’insieme del dipinto, suddiviso in due scene distinte, riferimenti alle vicende dinastiche che coinvolsero i membri della famiglia o della corte di Federico da Montefeltro; la seconda vede nel dipinto riferimenti al dramma della caduta di Costantinopoli per mano turca e la chiamata a partecipare ad una crociata antiturca rivolta ai principi occidentali riuniti al Congresso di Mantova convocato da Pio II nel 1459; la terza identifica nelle due scene altrettanti fatti aventi come fonti la narrazione evangelica della Passione.