Responsabilità sociale d’impresa 2.0 e sostenibilità digitale

Una lettura giuslavoristica

All’impresa non basta essere innovativa, digitalmente efficiente e tecnologica, per essere socialmente responsabile ed apportare e diffondere benessere all’interno e all’esterno dei luoghi di lavoro. Non è mai bastato, come la storia insegna. Il mito positivista di un’avanzata dello sviluppo senza limiti è ormai una chimera, quand’anche la visione di realtà non sia del tutto offuscata dal fascino dell’algoretica, della Rete, del web, del ‘senza limiti’ allo spazio praticabile di internet (se messo a confronto con lo spazio finito del mondo reale). Il diritto del lavoro, a differenza di altre discipline (quali soprattutto le scienze dure) è ancor meno rapito e distolto da tale fascino, ma piuttosto centratamene proiettato a cogliere, in maniera più equilibrata, sia le enormi potenzialità della tecnologia digitale, che le sue possibili insidie, annidate soprattutto nella crescita di potere del nuovo management algoritmico e di chi detiene i dati, o di quello delle piattaforme di lavoro: potenzialità e insidie destinate a lambire i diritti del lavoro e sul lavoro. Se tuttavia molte potenzialità sono ancora da cogliere, le insidie rischiano già oggi di minare la sostenibilità sociale dell’impresa senza trovare, almeno non sempre, adeguati o tempestivi rimedi attraverso l’apparato giuridico-regolativo. Le sfide che ci attendono chiamano in causa concetti come quello di ‘etica’, quale parametro per indirizzare la tecnologia nella sola direzione praticabile: quella capace di garantire i diritti umani (a qualunque costo) e di favorire il benessere dell’individuo e del contesto territoriale in cui l’impresa opera. La transizione digitale non si identifica soltanto con un processo di trasformazione digitale dell’impresa, ma piuttosto con un percorso destinato a cambiare gli stessi connotati della società e a modificare il rapporto dell’uomo con la tecnologia. Un’etica rinnovata deve dunque guidare l’intero processo di cambiamento, riguardante sia il ‘fare impresa’, sia la regolazione dei diritti degli individui e dei lavoratori da parte delle istituzioni. Dovrà tuttavia trattarsi di un’etica diversa dalla ‘utilitaristica virtù’ del datore di lavoro; di un’etica dell’impresa per un’etica nell’impresa. Come ci mostra la gig economy, il lavoro, se non adeguatamente presidiato, rischia di tornare espressione di un processo ‘concessivo’ del datore di lavoro, tutt’altro che sostenibile ed etico. Affrontare il tema della Corporate Social Responsibility è quindi necessario non tanto per tornare a dibattere dell’importanza di un’etica dell’impresa, quanto per riflettere sulla pedagogia del cambiamento utile a declinare l’etica e l’agire nell’impresa digitale e lungo il processo di trasformazione digitale della società. Sarà quindi utile cogliere i connotati della nuova CSR 2.0 quale nuovo strumento e nuovo modello ‘regolativo’ dell’impresa nella stagione delle sostenibilità. Un nuovo modello, trasfigurato, che infatti si presenta in parte riscritto dalle istituzioni governative (con approcci sia minimalisti che particolarmente rigorosi) e comunque sempre più necessario sia ai lavoratori, in ragione delle insidie dell’algoretica e dell’IA, sia ai consumatori di prodotti e servizi, globali o locali che siano. Le attenzioni richieste, nel maneggio del tema della CSR, sono oggi ancora maggiori per l’enorme vetrina che il web rappresenta per le imprese (nel bene e nel male) e per la globalizzazione del lavoro, dei prodotti e dei servizi. Ciò che fanno le imprese, ovunque collocate, e come lo fanno, non è più un argomento qualunque, ma motivo di interesse diretto per lavoratori e consumatori presenti nell’intero pianeta. Porre attenzione al tema di una nuova cultura per una rinnovata CSR 2.0, chiamata a confrontarsi con l’uso delle tecnologie digitali, ma anche con i rischi di derive patologiche di queste, può essere un punto di riflessione utile, nel più ampio tema della sostenibilità digitale del (e sul) lavoro; anche laddove il tempo dovesse svelarne il fallimento, oppure l’effettiva impraticabilità della relativa politica nei termini in cui questa viene attualmente proposta. La trasformazione digitale potrebbe inoltre svelarci qualcosa di inatteso; come magari che la forza trainante della sostenibilità proviene da imprese mono-localizzate, di più piccole dimensioni e che sanno coniugare tecnologia e lavoro e, come tali, portatrici di una più ‘genuina’ responsabilità ed etica sociale. Affrontare l’argomento della sostenibilità digitale dell’impresa, nei riguardi dei lavoratori, serve invece a tenere conto degli impatti sistemici del digitale, per gestirli al meglio e guardare con disincanto al rapporto tra un’impresa digitalmente trasformata e i conseguenti diritti e bisogni dei lavoratori. Tante sono dunque le sfide che il diritto del lavoro dovrà affrontare nel contesto di un sistema sempre più globalizzato, tra cui: quella di presidiare i diritti oltre la dimensione materiale ma fin troppo ‘reale’ dello spazio ‘virtuale’; quella di affrontare un nuovo modello di mercantilizzazione del lavoro; quella di dotarsi di strumenti di azione e difesa innovativi e al passo con l’evoluzione digitale; quella di tentare di imporre un controllo, o un presidio, verso le imprese che operano nella Rete; quella di ricucire le relazioni sociali e anzi di rafforzarle; quella di assicurare tutele resilienti al cospetto del mutare della tecnologia. «Con le contraddizioni e le smarginature (il continuo modificarsi, rompersi e ricostruirsi di una realtà sociale ormai friabile) occorre convivere, attrezzandosi con strumenti di analisi all’altezza della complessità e della contraddittorietà dei fenomeni» (Caruso, Del Punta e Treu 2020, 28).