Le leggi razziali e il fascismo in provincia

Il 16 settembre 1938 il vicepresidente del Consiglio provinciale delle corporazioni di Firenze scriveva al podestà di Sesto Fiorentino, ai podestà e ai commissari della provincia, per assicurarsi che tra coloro che avevano fatto domanda per ricevere dei premi di natalità, non ci fossero appartenenti alla «razza ebraica»1. È uno dei molti documenti che è possibile reperire nell’archivio di un piccolo comune come Sesto Fiorentino, un agglomerato alla periferia di Firenze, che ricevette dal centro indicazioni e comunicazioni concernenti l’applicazione delle norme contro gli ebrei varate dal regime fascista dal settembre 1938. Nell’area, secondo i dati reperiti, si trovavano 4 ebrei censiti come residenti negli anni 1938-1939 su una popolazione complessiva di 17.535 (secondo il rilevamento del 1936; vedi Istituto centrale di statistica del Regno d’Italia 1937). Il caso di Sesto Fiorentino, come gli altri, testimonia la capillarità e la pervasività della macchina amministrativa che, nel corso dell’estate 1938, si mise in moto per individuare, schedare e isolare gli ebrei dal resto della società2. Questo studio, pertanto, può costituire un piccolo contributo alla conoscenza dell’applicazione delle misure persecutorie, più note come «leggi razziali» varate nell’autunno 1938 anche in aree periferiche, con scarsa, se non scarsissima presenza di ebrei. Le ricerche sulla applicazione delle leggi razziali in Italia costituiscono ormai da più di tre decenni un consolidato filone di studi. Dal cinquantesimo anniversario dell’emanazione dei Provvedimenti per la difesa della razza italiana, nel 1988, lavori puntuali hanno ricostruito vari aspetti dell’antisemitismo di Stato promosso dal regime di Mussolini a partire dal 1938, indagando, fra le altre cose, prodromi e precedenti, intrecci con le misure e pratiche razziste nel contesto coloniale, l’impatto in alcuni settori specifici, come il mondo della scuola e dell’università, infine, le conseguenze di queste misure nella vita dei perseguitati e le connessioni con quello che poi accadde dopo l’8 settembre 1943, con l’avvio degli arresti e delle persecuzioni dall’Italia3. All’interno di questo rinnovamento storiografico si possono trovare alcune ricerche volte a dimostrare una reale e capillare applicazione delle normative a livello locale, al fine di confutare l’idea – a lungo prevalente nella storiografia – che le leggi razziali erano state sì varate, ma poi blandamente messe in atto, almeno nel periodo 1938-1943. I primi studi su Torino a opera di Fabio Levi, su Trieste da parte di Silva Bon, per limitarsi solo a qualche esempio, hanno ricostruito in dettaglio la realizzazione dell’esclusione degli ebrei dalla vita pubblica dopo il 19384. Nello stesso quadro, la ricerca pluriennale sulla Toscana, la prima in ambito regionale, promossa dalla Regione Toscana sotto la supervisione di Enzo Collotti si proponeva precisamente un duplice obiettivo: da una parte dimostrare l’applicazione reale della normativa antiebraica, dall’altra inserire questo lavoro nel quadro più ampio delle vicende che hanno riguardato la società italiana durante il fascismo (Collotti 1999; 2007; sulla genesi della ricerca mi permetto a rinviare a Galimi 2022c). La presente ricerca si inserisce, com’è naturale, nel solco di questa prospettiva, nonostante sia circoscritta a un piccolo comune toscano. Se sono passati più di venti anni dalla pubblicazione della ricerca sulla Toscana, e se pure sono uscite nuove e importanti ricerche, l’approccio dell’indagine a livello locale sembra essere ancora lontano da essere esaurito, a fronte di contro di un rinnovato interesse per il fascismo in provincia, ovvero una disamina della realizzazione del progetto fascista che tenga conto non solo del centro come luogo di elaborazione ideologica e di propagazione delle decisioni politiche, ma che lo indaghi nella sua relazione dinamica e non priva di tensioni con la periferia e i territori (in merito si vedano Corner, Galimi 2014; Galimi 2018a; si rinvia anche a Baris 2014; 2022). Se la dimensione euristica di questa prospettiva è emersa con tutta la sua forza per ciò che concerne l’analisi concreta del fascismo, ciò non può non riguardare anche un aspetto delle sue politiche di esclusione e repressione che dal 1938 hanno coinvolto la comunità ebraica presente in Italia, compreso un consistente numero di ebrei stranieri. Un altro aspetto della ricerca coordinata da Collotti che conviene richiamare è la preoccupazione costante del curatore di tenere insieme sia la conoscenza storica sia l’intervento nello spazio pubblico, per ribadire le responsabilità dell’Italia fascista in queste vicende. Nonostante il tempo trascorso e i nuovi studi, e una nuova presenza di questi temi nel dibattito pubblico, grazie all’istituzione nel 2000 della ricorrenza civile del «giorno della memoria», il tema delle responsabilità del fascismo e della società italiana durante il Ventennio riguardo la persecuzione degli ebrei, non è divenuto davvero un nodo di discussione pubblica. Come per altri aspetti, ad esempio le ideologie e le pratiche del razzismo coloniale, sembra anzi ancora prevalere una lettura semplicistica del ruolo degli italiani, in un discorso sempre più cristallizzato attorno alla ricorrenza del 27 gennaio, che quindi rinvia soprattutto alla Shoah e in misura minore alle vicende della persecuzione messa in atto durante la fase precedente (Schwarz 2021; Galimi 2018b, 146 sgg.).